Lotus Music

Quando le regole del gioco cambiano, serve un buon allenatore

 

 

 

Arriva una telefonata, mi dicono: “Ci sarebbe da fare una nuova intervista, con il fondatore di Lotus Music”. Chiedo subito: “Ma… Lotus Music nel senso di Piermatteo Carattoni?”

E sì, era proprio in quel senso. Il che mi ha fatto incredibilmente piacere perché io Piermatteo lo conosco da quando aveva tredici anni: frequentava un corso di fumetto che avevo organizzato e, in mezzo a tanti studenti più grandi di lui, si distingueva per la curiosità intellettuale, l’estro, la passione. Con quel carattere, in effetti avevo una mezza idea che avrebbe intrapreso una carriera artistica. Scrittore? Regista? Illustratore?

Musicista, in realtà. Quello che invece non avrei dato per scontato era che dalla carriera artistica potesse nascere anche un’attività imprenditoriale, finalizzata a supportare e promuovere altri artisti nel mondo della musica indipendente.

Questo per Piermatteo è un punto d’onore: l’intento di prendere il know-how che ha imparato sui palchi, nelle sale di registrazione, nelle aule dove la musica si insegna, e metterlo a disposizione di una nuova generazione di musicisti decisi a farsi largo in un mercato frenetico, che si trasforma di pari passo con l’evolversi della tecnologia.

Un lavoro di squadra, insomma, affinché ciascuno porti il suo contributo e il suo talento nel giocare una partita sempre più complicata.
E quando le regole del gioco cambiano, serve un buon allenatore.

 

Quando è iniziata l’avventura di Lotus Music?

Circa quattro anni fa: è un’attività che nasce dalle mie esperienze nella didattica musicale (ho insegnato chitarra e altre discipline musicali per diversi anni) e dal mio percorso artistico personale. Diciamo uno switch, un cambio di prospettiva per capitalizzare e rendere disponibili le risorse guadagnate nei dieci/dodici anni precedenti, come autore nel campo della musica indipendente.

Che è un campo per nulla semplice, credo.

Vero. Non si tratta, come molti credono, di un genere musicale, ma di una modalità professionale e produttiva che prende una strada diversa rispetto alle cosiddette major (Sony, Warner, Universal e via dicendo). Ha per forza di cose un approccio provocatorio, tanto più adesso che le nuove tecnologie permettono a uno staff anche molto ridotto di curare l’intero iter di pubblicazione e promozione di un brano singolo o di un LP.

Il mio primo album da solista risale al 2010 e si appoggiava appunto a una etichetta indipendente, come pure i successivi due; da un certo momento in poi ho ritenuto di poter camminare con le mie gambe anche sotto il profilo produttivo e non solo artistico, oltre che di potermi rendere utile ad altri, così ho messo in piedi Lotus Music.

Visitando il sito, si nota una gamma di servizi molto ampia.

È stato così fin dall’inizio: alla quasi totalità dei servizi avevamo pensato da subito. Poi in quattro anni lo scenario cambia, è naturale aggiungere o modificare qualcosina.

Ma visto che a suo tempo la situazione del mercato aveva molti punti di contatto con la mia esperienza, mi sentivo già in grado di provvedere a due esigenze eterogenee come produzione artistica e promozione (con tutte le loro sotto-categorie), tuttora i due pilastri sui quali operiamo.

Quindi l’esordio di Lotus è stato buono come ti aspettavi?

Sì, un’ottima partenza, anche grazie alla consulenza di Idexa Web: con loro abbiamo individuato e raggiunto quel segmento di utenza a cui serviva proprio una realtà come la nostra.

Qualcosa che fosse in antitesi con la vecchia industria musicale, un percorso più vicino all’artista che al gruppo discografico. Siamo capitati in un momento storico in cui accadeva qualcosa, in cui serviva un’alternativa a un meccanismo discografico tradizionale sempre più sgretolato.

Come mai questa situazione?

Perché la discografia classica è una struttura molto connessa alla vendita del disco, potrei dire che ne è dipendente; ma oggi il disco non esiste quasi più, spesso non viene neanche stampato.

Già nel periodo della mia gavetta quel tipo di discografia stava iniziando a perdere appeal, rispetto a una generazione che intuiva un forte cambiamento in arrivo, grazie alle tecnologie digitali applicate alla produzione.

In parole povere: con un buon computer, una buona scheda audio e un certo bagaglio di competenze posso già registrare un disco che suoni in modo più che dignitoso, insomma che non sembri un prodotto da scantinato.

E poi, la vendita è completamente digitalizzata.
Una volta i discografici individuavano i talenti, mettevano a loro disposizione (ovvero finanziavano) le strutture per realizzare il prodotto e poi lo distribuivano. Tutte fasi che ora si possono bypassare!

Insomma la vecchia discografia ci dava la sensazione di vivere nel passato, anche dal punto di vista dei profitti; in passato era un’industria complessivamente ricca, ora lo è prevalentemente a livello mainstream. Dal periodo in cui si stampavano i CD siamo entrati nella fase dei download e adesso in quella dello streaming, che per l’utente è ancora più comoda e intuitiva.

Quindi la musica indipendente punta sull’apertura di scenari che prima non c’erano.

Sì, a patto di saperli interpretare e utilizzare. Non molto tempo fa, circa due anni, abbiamo assistito all’arrivo di una generazione più giovane che non ha il vissuto di quella precedente, non sente gli stessi traumi, ed è nativa digitale.
Siamo già in una ulteriore fase di transizione in cui cambia tutto, ci si deve aggiornare e tenere aperti mentalmente.

Come funziona il lavoro di Lotus Music?

Della produzione artistica mi occupo direttamente io: scrittura dei brani, arrangiamento, incisione, mixaggio… e questo naturalmente abbatte i costi rispetto agli studi di incisione più tradizionali. Per quel che riguarda la promozione, forniamo consulenze e servizi classici, ad esempio l’ufficio stampa; ma sempre con un approccio digitale e quindi una predilezione per riviste online, fanzine, blog di settore.

Poi c’è l’ambito della promozione nel settore radiofonico, ovvero ci occupiamo della programmazione degli artisti nelle radio italiane e internazionali. Infine c’è tutto il mondo esclusivamente digitale, che prima non esisteva e necessita di modalità inedite: per esempio, una strategia utile è inserire il brano del musicista nelle compilation, che vengono aggregate secondo diversi parametri e ricevono un’ottima accoglienza dagli utenti.

Importantissimo è avere un rapporto stretto con You Tube: infatti ci occupiamo anche di produrre videoclip, che è l’anello di congiunzione tra audio e video. Questo è imprescindibile, in un momento in cui la comunicazione visiva è fondamentale (e infatti il social più diffuso è Instagram, il che per gli artisti musicali potrebbe rappresentare un ostacolo).

Tu stesso hai realizzato non un semplice videoclip, ma un film musicale.

Esatto: si intitola Kalypolis e per Lotus ha costituito un’esperienza difficilissima perché ha comportato una mole di lavoro quasi inaffrontabile, ci siamo lasciati prendere la mano dall’entusiasmo e ne abbiamo pagato le conseguenze in termini di tempo e fatica: il quotidiano, le esigenze dei clienti già acquisiti e la ricerca di nuovi clienti hanno dovuto conviverci.

Però è stata anche un’esperienza straordinaria dal punto di vista creativo: il film musicale presenta sequenze di pura fiction (ovvero di recitato, con dialoghi e interpreti) e nove momenti musicali in cui l’azione prosegue mentre scorrono delle canzoni. L’idea è nata perché io ero in cerca di un modo inedito per proporre e promuovere quelle nove canzoni, ovvero il mio nuovo album, e ho pensato: perché non collegarle con una storia?

In termini di promozione, vi relazionate anche con l’estero?

A parità di costo, inteso sia come investimento monetario che come forza lavoro, è sempre una strategia consigliabile accedere al mondo intero anziché solo all’Italia; anche perché la musica italiana è molto ben vista in determinate località, ad esempio nei paesi dell’Est e in America Latina.

Inoltre all’estero trovo generalmente un clima più sereno, più equilibrato. Forse questa differenza è dovuta al fatto che in Italia c’è una vera e propria sovraesposizione di contenuti.

Il talento e l’impegno non sono alla portata di tutti, ma la capacità di farsi notare sì, e questo a volte penalizza la musica in quanto tale: sembriamo un po’ dei burattini, talmente legati al marketing da perdere di vista l’espressione, l’arte.

Inoltre, dal punto di vista di chi detta le regole del mercato, l’esordiente spesso diventa poco più di un disturbo da sopportare; all’estero c’è più apertura, direi quasi più ingenuità ma nel senso positivo del termine, intendo dire che percepisco in misura minore il nostro clima di sospetto e diffidenza.

Avete mai attraversato grossi momenti di difficoltà?

Più che vivere una difficoltà, abbiamo dovuto prendere una decisione sofferta: rinunciare a occuparci dei live, di tutto ciò che ha a che fare con la musica dal vivo. È un peccato, perché da parte degli artisti c’è molta richiesta; cosa comprensibile, perché dal loro punto di vista suonare dal vivo dovrebbe essere gratificante e remunerativo (il pubblico paga il biglietto, i più tradizionalisti possono anche vendere i CD a fine spettacolo).

Molti pensano che, da quando hanno preso piede la rete e lo streaming, il live sia uno degli ultimi baluardi di resistenza per le band, soprattutto quelle che hanno una formazione più classica, più rock; così va a finire che molti gruppi lavorano sodo e tirano fuori ottime cose, ma poi vanno a impantanarsi nella ricerca ossessiva del live, con il risultato che magari rimediano giusto un paio di date, guadagnano pochissimo e tanti sforzi vanno sprecati.

Il motivo principale è che, da quando hanno preso piede le cover band, nei locali lo spazio per gli indipendenti si è ridotto drasticamente. Dopotutto, per avere la musica dal vivo, i locali si accollano dei costi che devono essere giustificati da un cospicuo flusso di persone, e questo flusso per gli esordienti è tutt’altro che scontato, bisognerebbe nascere già famosi.

All’inizio abbiamo voluto provarci lo stesso, inserendo fra i servizi anche il booking, ma poi ci siamo resi conto che, per la forma impressa alla nostra realtà, la strada giusta è concentrarci sulla produzione.

Quindi è da lì che arrivano le soddisfazioni.

Sì, e altroché se ne arrivano: per esempio una nostra artista, Betty Rose, è stata prima classificata nella Euro Indie Music Chart, la classifica europea della musica indipendente.

Luigi Petruzzi col suo nuovo disco è in tutte le classifiche britanniche, Francisco Buselli, che è italo-argentino, è stato protagonista di un tour radiofonico in America Latina e partecipa da artista resident ad eventi benefici in compresenza con personalità quali Luca Carboni, Alberto Bertoli, Fio Zanotti, Vince Pastano.

In generale i nostri artisti lavorano davvero tanto: lo scorso dicembre abbiamo avuto in uscita tre LP a pochi giorni l’uno dall’altro, un record!

Intervista a cura di Velma J. Starling