Black Idol Kennel

Trasformare il proprio stile di vita in un business

 

 

Angelo arriva all’appuntamento per l’intervista con qualche minuto di anticipo e ha l’aria della persona efficiente, svelta, abituata a incastrare impegni. Servono giusto due minuti per organizzarci, poi si comincia senza preamboli.

È un fiume in piena, nel raccontare la sua attività dagli esordi a oggi. Perché si tratta di un’impresa ad alto valore aggiunto non solo economico ma anche in termini di entusiasmo, dove l’elemento umano rimane centrale; e qui l’umano incontra il canino. Angelo infatti, insieme alla moglie Patrizia, è fondatore e proprietario del Black Idol Kennel, un allevamento di adorabili cagnetti di razza Manchester Terrier (e non solo). È il genere di attività che coniuga lavoro sul campo, viaggi per partecipare a gare ed esposizioni, la costruzione di una rete di contatti nazionali e internazionali; e in questo contesto si inserisce un sito internet che non include un tipico e-commerce (come sarebbe possibile, trattandosi di cuccioli?), ma consolida quella rete e fornisce ai visitatori ogni dettaglio sui campioni e sulle cucciolate.

E i pedigree? Certo, anche quelli: in second’ordine, però, rispetto al benessere della razza e dei singoli esemplari. Premi e linee di sangue sono importanti, la redditività dell’impresa anche. Ma prima viene il cane.

 

Come avete iniziato la vostra attività? Siete in questo settore da sempre?

Sì e no. In famiglia avevamo spesso avuto cani da caccia, e anche un bastardino da compagnia, ma non avevamo mai pensato di farne una professione. Certe scelte sedimentano nel tempo, all’inizio in modo inconsapevole. Nel nostro caso tutto iniziò quando mio fratello prese un Husky, che rispetto ai cani precedenti si rivelò una novità assoluta. Era vivace, intraprendente, impegnativo… ci insegnò un modo nuovo di intendere il rapporto con il cane. Purtroppo si trattò di un’esperienza breve, perché una sera, durante un temporale, il cane ci venne rubato. Dopo un po’ mio fratello prese un’Akita Inu, una femmina tigrata, da un allevatore torinese. All’epoca abitavamo nella stessa casa, quindi anche io ero sempre a contatto con questa cagnetta; e con il tempo mi convinsi a prendere a mia volta un Akita Inu, un maschio bianco. Fu con lui che iniziammo a frequentare il mondo delle gare e delle esposizioni, ma soprattutto a vivere l’esperienza di un cane che diventa un vero e proprio membro della famiglia, se non di più.

Quindi questo Akita Inu fu il tramite verso l’attività professionale con i cani.

Diciamo verso la prima attività professionale, legata agli animali in genere. Eravamo in rapporti stretti con il veterinario che ci seguiva, e conversando con lui venne fuori l’idea di aprire un negozio di prodotti per animali, a Riccione. Lo inaugurammo nel 1993 sulla via Emilia: nello stesso stabile si trovavano l’ambulatorio veterinario, il negozio e il centro per la toelettatura, questi ultimi due gestiti da me e da mia moglie.

E il passaggio all’attività di allevatori?

Grazie al negozio, entrammo ancor più “nel giro”, instaurammo contatti e legami con altri negozi e con appassionati. In casa avevamo il nostro Akita e quella di mio fratello, oltre a due gatti persiani, ma un giorno un’amica che allevava dei Pincher mostrò a mia moglie un nuovo cane, che non avevamo mai visto prima: una femmina di Manchester Terrier. Una cagnolina con uno sguardo che riesco solo a definire speciale, un portamento, uno spirito… insomma, fu amore a prima vista, nel giro di due giorni decidemmo di prenderla.

Come animale da compagnia, non come capostipite di un allevamento.

All’inizio era così. Però nel 1997 iniziammo a portarla alle esposizioni italiane, e nel 1998 scoprimmo che a Genova sarebbe stato organizzato il campionato europeo internazionale dei Manchester Terrier. Decidemmo di iscriverla e fu per noi un’esperienza significativa, anche perché eravamo gli unici iscritti italiani, tutti gli altri cani venivano dall’estero. Imparammo moltissimo, iniziammo a conoscere l’ambiente, sviluppammo una passione che non avremmo mai creduto. Tornati a casa, in poco tempo vendemmo il negozio e ci trasferimmo dal nostro appartamento di Riccione a una casa di campagna nei pressi di Coriano, dove mettemmo in piedi l’allevamento.

All’inizio non sarà stato enorme.

Con il capitale ricavato dalla vendita del negozio riuscimmo a mettere in piedi una decina di box, in parte destinati a ospitare cani a pensione in modo da avere un’entrata extra, visto che un allevamento non nasce da un giorno all’altro. Già nel 1997 avevamo preso anche un maschio, dalla stessa persona che ci aveva dato la femmina. Era un esemplare più che valido, lo portammo anche a un campionato europeo in Austria… ma la nostra femmina non ne voleva sapere di lui! Così ci rivolgemmo di nuovo alla nostra amica allevatrice, che aveva preso da poco un altro maschio dall’Inghilterra.

E stavolta la vostra femmina apprezzò il partner?

Lei sì, piuttosto fui io che dovetti faticare per averlo. Tutti mi dicevano che era bruttino, che per pianificare una cucciolata serviva qualcosa di meglio… ma io volevo proprio lui.

Anche se era bruttino?

Sì, perché avevo in testa un ragionamento preciso. La maggior parte degli allevatori lavora soltanto sui pedigree, sulle linee di sangue. Io preferisco prima osservare minuziosamente quanto ho a disposizione, individuare le caratteristiche adatte al mio caso; e poi, semmai, verificare il pedigree. Per esempio, volevo proprio quel maschio perché, per la femmina che avevo io, trovavo che lui avesse determinate qualità dalle quali sarebbe uscito almeno un cucciolo particolarmente bello.

E andò così?

Andò oltre ogni aspettativa: della cucciolata faceva parte un maschietto che chiamammo Ayrton e che sarebbe diventato (ma allora, ovviamente, non potevamo immaginarlo) il Manchester più importante al mondo. Per la verità, i suoi esordi non furono brillanti: quando aveva sette mesi, mia moglie lo portò a un’esposizione a Milano, ma appena lo appoggiò sul tavolo… lui fece pipì dritto davanti al giudice! Due mesi dopo, volli portarlo comunque al raduno delle razze Terrier a Firenze, che era una manifestazione importante anche per la presenza di due giudici, una serba e una svedese, autorità riconosciute nel settore. E Ayrton, con mia sorpresa, vinse un po’ di tutto: miglior Terrier nato in Italia, miglior Terrier a gamba lunga, miglior giovane, secondo nella classifica generale.

Si può dire che fu l’inizio di una carriera?

Si può dire eccome! Nel 2000 lo portammo all’esposizione mondiale di Milano, aperta a tutte le razze. Erano iscritti circa trenta Manchester Terrier; Ayrton aveva circa tredici mesi, quindi lo iscrivemmo nella categoria giovani e lui vinse. Al momento di uscire dal ring, il giudice (nonché presidente della federazione cinofila internazionale, un terrierista esperto) ci fermò e ci raccomandò di non scappare via, di aspettare. A un certo punto richiamarono i vincitori di ciascuna classe e Ayrton vinse il premio come miglior cane di quella razza, insomma il più bel Manchester fra tutti i presenti.

Per chi intende acquistare un Terrier, è importante sapere che il papà o la mamma del cucciolo sono stati vincitori di premi prestigiosi?

Certo, è una delle ragioni per cui segnaliamo sempre sul sito i nostri successi. Con Ayrton, un passo importante fu la partecipazione a tre manifestazioni collegate (San Remo, Nizza e Montecarlo), a suo tempo organizzate dalla sorella del Principe Ranieri. A Montecarlo, ci ritrovammo con una giudice che voleva a tutti costi acquistare Ayrton: noi ovviamente rifiutammo. A Nizza, il presidente del gruppo cinofilo locale andò a chiamare la principessa, dicendole: “lo guardi, perché un Terrier bello come questo non lo vedrà mai più”. Ma soprattutto, tornati a casa, ci arrivò una lettera dal Kennel Club inglese con l’invito al Crufts, l’esposizione canina più antica e più importante al mondo: si svolge a Birmingham, nei pressi dell’aeroporto, e richiama qualcosa come 40.000 cani ogni anno. Ma si partecipa solo a invito, solo se si può già vantare una certa “carriera”.

E come andò?

Non ottenemmo nessun riconoscimento ufficiale, ma alcuni ci fecero capire, sotto sotto, che c’era un problema “diplomatico”: per una razza così tipicamente inglese, che aveva sempre avuto gli esemplari migliori in Inghilterra, sarebbe stato inopportuno, diciamo così, dare un piazzamento a un cane italiano arrivato fresco fresco alla sua prima partecipazione. In compenso ricevemmo un mucchio di attenzioni, gente che rimase lì per ore a fotografare Ayrton e a riempirci di complimenti. Una signora ci disse che un cane così non lo vedevano da vent’anni e non l’avrebbero più rivisto per altri vent’anni. Io comunque ripartii da Birmingham con la convinzione che quel premio, prima o poi, lo dovevamo vincere.

E accadde?

Con i giusti tempi. Dalla nostra prima partecipazione al Crufts scaturirono nuovi contatti, nuove amicizie. Dall’Inghilterra acquistammo una femmina nel 2011 e un maschio nel 2015 perché i nostri iniziavano a essere un po’ troppo pesanti, troppo robusti: volevamo un tocco di eleganza in più. Partecipammo a varie esposizioni, vincemmo una serie di mondiali ed europei… e finalmente il Crufts, nel 2019. Iscriviamo sempre i nostri cani a rotazione: quando uno di loro ha ottenuto un discreto medagliere, lascia spazio agli altri. Così ciascuno guadagna una buona reputazione, e questo fa bene all’allevamento nel suo complesso.

C’è molta concorrenza in questo settore?

Col tempo in Italia sono nati altri sei o sette allevamenti di Manchester, ma purtroppo c’è poco spirito di collaborazione. Io penso che sia l’allevamento a fare il cane, ogni allevamento ha un suo modo, e alcuni adottano delle filosofie di lavoro che personalmente non trovo ottimali. Mi ricordo, con un po’ di malinconia, che dopo la nostra tripla vittoria al mondiale in Olanda nel 2019 (categorie maschio, femmina e giovane), gli allevatori stranieri vennero tutti a salutarci e a farci i complimenti; gli italiani, invece, sparirono senza una parola.

Chi è il vostro cliente tipo?

Spesso e volentieri è un altro allevatore: meglio se italiano, perché a noi fa piacere diffondere la razza dei Manchester Terrier il più possibile nel nostro paese. Però non mancano i contatti con l’estero: per esempio, già nel 2001 avevo ricevuto una proposta dagli Stati Uniti per Ayrton. Io da lui non volevo separarmi, in compenso inviai a quell’allevatore uno dei figli di Ayrton, che avevo chiamato Vito: nel giro di due anni, divenne il primo Manchester con le orecchie integre (perché negli USA vigeva la tradizione di tagliarle) a vincere il campionato americano. A quel punto mi chiesero altri esemplari, allo scopo di riportare negli Stati Uniti una genealogia di cani dotati del senso del “portamento dell’orecchio”, che da loro negli anni era andato perso a causa dell’abitudine del taglio. E questa occasione, questo poter essere di aiuto all’intera razza dei Terrier, per noi è stato un risultato enorme.

Che tipo di cani sono i Manchester Terrier? Cosa vi ha fatto innamorare di loro?

Fisicamente sono cagnetti di piccola taglia, sui 10-11 chili, e hanno un carattere molto particolare. Le loro origini antiche risalgono al Terrier per così dire “storico”, quello che veniva chiamato Black & Tan, incrociato però con il Levriero, che è un cane diffidente. Quindi i Manchester non sono immediatamente socievoli, si prendono i loro tempi, devono accorgersi di nutrire della stima per chi hanno di fronte. Mostrano una personalità forte ed è questo che li rende affascinanti, oltre alla loro intelligenza.

La comunicazione, in questo mondo così interconnesso di allevatori, esposizioni eccetera, passa attraverso il web?

Passa soprattutto dal sito. Il primo lo avevamo messo in piedi all’inizio degli anni Novanta, poi con l’avvento dei social lo avevamo un po’ abbandonato. Ma ci siamo resi conto che fu un errore: i social sono utili, come dice il loro nome, per i risvolti sociali, i contatti, le novità… ma per il resto sono effimeri, i contenuti scivolano via. Invece le persone interessate pretendono il sito e chiedono che sia aggiornato con regolarità: avete vinto dei premi di recente? Ci sono cucciolate in arrivo? Avete acquisito degli esemplari nuovi? Adesso il nostro sito, sul quale è stato operato un restyling tecnico/grafico da IdexaWeb, è pieno di contenuti destinati a rimanere. Certo, aggiornare su ogni minima cosa è impossibile, per quello ci sono appunto i social che sono più immediati e veloci; ma gli eventi importanti, come i premi, i cani nuovi e le cucciolate, vanno sempre inseriti.

Quindi è come se il sito diventasse una sorta di catalogo online.

Esatto, con tutti i vantaggi della comunicazione via mail. Soprattutto per chi, come me, non parla bene le lingue straniere, senza sito e posta elettronica è difficile comunicare. Il sito presenta le foto, lo storico, la genealogia, ha la funzione di un archivio. Supera, per efficienza e attualità, tutti i supporti cartacei come riviste e libri. Anche quando il contatto è avviato e magari ci si sente al telefono, poter fare riferimento al sito è utile nel momento in cui bisogna fornire nuove informazioni: un conto è basarsi su una descrizione a voce, altra cosa è avere entrambi sott’occhio la stessa pagina del sito, con foto del cane e genealogia. Ai neofiti che chiedono informazioni su come presentarsi al pubblico, io ribadisco sempre che il sito internet per un allevatore professionista è indispensabile. Cosa di cui, naturalmente, si sono accorti prima all’estero che in Italia.

Di certo è il genere di attività in cui il fattore della passione non può mancare.

Ovvio. A noi prima interessano i cani in quanto tali, poi semmai la vendita. Abbiamo aspettato anni prima di dedicarci anche agli English Toy Terrier, per quanto con la nostra reputazione non sarebbe stato difficile trovare degli acquirenti, proprio per essere sicuri di poterli seguire come si deve e di poter fare il loro bene. In Europa, per lungo tempo questi cagnolini sono stati introdotti e quasi “prodotti in serie” per un mercato folle, che si limitava a inseguire la moda dei cani piccoli; di solito hanno un carattere difficilissimo, per non dire che sono intrattabili.

Ed è un fattore su cui si può intervenire?

Serve pazienza. Io ho preso il mio primo Toy nel 2016, da un’amica che me li aveva mostrati per la prima volta al Crufts del 2010, e trattandolo col giusto rispetto ne è venuto fuori un cagnetto bravo ed equilibrato. Così adesso teniamo anche i Toy, proprio con l’intento di migliorarli (inclusi quelli americani che sono leggermente più grandi, arrivano ai 6 chili invece che ai 4/5 degli europei). Vale lo stesso discorso anche per i Cairn Terrier, che abbiamo iniziato a tenere da poco tempo. Non ci interessa solo selezionare “il cane bello”; ci interessa crescere cani gestibili, sereni, con cui si possa andare d’accordo. È una questione di serenità per il cane e di rispetto nei suoi confronti.

Intervista a cura di Velma J. Starling

VIDEO INTERVISTA

 

Angelo Emilio Sartori di Black Idol ci racconta
come l’amore per i Manchester Terrier
ha cambiato la sua vita.

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