Cicaci

Metti in tavola il marketplace dei prodotti alimentari Made in Italy

 

 

 

Per l’intervista con Monia Cantagallo, mente operativa di Cicacì, prendiamo appuntamento al tavolino di un bar. Io arrivo con qualche minuto di anticipo e lei è già lì, pronta a offrirmi un buon tè caldo – l’ideale per una giornata grigia e piovosa.

La conversazione fluisce con naturalezza, le spiegazioni di Monia (condite da un amabile accento abruzzese) sono estremamente chiare e lasciano trapelare tutto quello che sta dietro a una piccola attività imprenditoriale nata dal nulla: non solo la creatività e l’impegno ma anche i dubbi, i problemi, le delusioni, i momenti in cui devi farti forza perché in quell’idea ci credi e vuoi darle il tempo di fiorire e di portare frutto. In più, parliamo molto di preparazione, di apprendimento: lanciare un’idea nuova presuppone che si passi del tempo a studiare ciò che serve, a imparare una quantità di discipline che, fino al giorno prima, erano completamente estranee.

Faticoso? Certo. Pesante? Non se ci si lascia trascinare dalla volontà di rinnovarsi, dal desiderio vibrante di mettersi in gioco. È così che, da uno spunto embrionale, nasce un efficiente portale per l’enogastronomia italiana di qualità.

 

Come hai pensato di lanciarti in questa avventura?

Si trattava di un’idea che da tempo frullava in testa a me e a mio marito, ma che non avevamo mai trovato il tempo e le energie per approfondire. Poi, come a volte succede, le circostanze della vita hanno dato la spinta che mancava: nel caso specifico, la pandemia. Nel periodo di crisi che tutti abbiamo ben conosciuto, il mio contratto da arredatrice d’interni non è stato rinnovato; a quel punto avevo tempo libero in abbondanza e la necessità di inventarmi un lavoro, quindi la vecchia idea ha trovato terreno fertile.

È stato necessario rielaborarla in modo pesante, o tutto sommato il risultato finale assomiglia all’embrione dei primi brainstorming?

Ci assomiglia molto. Questo perché, prima di muovermi e di interpellare un’agenzia per la realizzazione del sito, avevo pensato e ripensato praticamente a ogni dettaglio: volevo avere le idee più chiare possibili e ridurre al minimo il rischio di dover cambiare e ridiscutere troppe cose. Sono bastati pochi incontri con IdexaWeb, per arrivare alla versione definitiva del sito.

Per l’elaborazione del tuo progetto, hai potuto contare su una tua formazione specifica, su esperienze di lavoro simili?

No, assolutamente, sono partita come una tabula rasa. In passato ho fatto altri mestieri, per esempio la commessa in una gioielleria e in una piadineria, ma ogni volta mi piace reinventarmi e imparare cose nuove. Da ogni esperienza pregressa, inoltre, si ricavano piccole e grandi competenze che aiutano per i progetti successivi; è uno stimolo a rinnovarsi in continuazione e a capire come relazionarsi con i clienti. In vista di questo progetto ho iniziato a studiare SEO, scrittura creativa e web marketing, grazie a dei corsi di formazione rigorosamente online (eravamo in piena pandemia), di cui poi raccontavo i punti salienti a mio marito appena tornava dal lavoro: così io studiavo e memorizzavo, e lui otteneva la sua parte di infarinatura. Poi, naturalmente, lavorando sul campo si impara ancora di più, ed è quello che sto facendo ora: un apprendimento continuo.

Hai citato più di una volta tuo marito. È stato importante condividere con lui la genesi del sito?

Moltissimo. Intanto perché condividere il progetto con un’altra persona, anzi con LA persona più presente nella tua vita, ti permette di scambiare idee in continuazione, buttare sul piatto uno spunto nuovo in qualsiasi momento, anche con un messaggio veloce fra un impegno e l’altro. Poi, cosa anche più importante, c’è il sostegno morale, l’incoraggiamento. Da soli è ancora più difficile sopportare l’impegno mentale e materiale necessario a ricominciare tutto da zero, buttarsi in una nuova avventura professionale e sostenere il rischio d’impresa.

Come hai presentato l’attività ai potenziali partner?

Anzitutto c’è stato un lavoro di ricerca, per individuare le aziende agricole e gastronomiche adatte a confluire nel progetto. Poi abbiamo messo online una sorta di pre-sito, diciamo una preview che permettesse di capire in cosa consisteva il progetto. Infine ho preso contatto con loro, una ad una. Questa è stata la parte più difficile: presentarsi e sviluppare con loro un senso di fiducia, perché ogni idea nuova, fosse anche la più geniale, deve superare un naturale scudo di diffidenza.

Quindi qual è il meccanismo con cui funziona il sito?

Diciamo che Cicacì è un aggregatore, una vetrina per aziende di prodotti alimentari: alcune di esse hanno già un proprio e-commerce, altre invece no. Quindi ci sono due meccanismi diversi.

Iniziamo con il caso di un’azienda che non è dotata di un e-commerce proprio, ma si basa su quello fornito da voi.

Quando un cliente visiona i prodotti sul nostro sito, riempie il carrello e conferma l’ordine, quest’ultimo viene inviato in duplice copia: una a noi, l’altra all’azienda produttrice, che si occupa di effettuare la spedizione. Il pagamento arriva su un conto corrente virtuale e, in caso di reclami (per esempio un articolo mancante o un barattolino rotto), provvediamo noi al rimborso. Solo quando riceviamo la conferma che l’ordine è arrivato al cliente nel migliore dei modi (o che eventuali problemi sono stati risolti), allora sblocchiamo il pagamento: il grosso va al produttore, mentre a noi compete una piccola percentuale, a titolo di commissione, per aver fornito l’e-commerce e per la gestione del pagamento.

E per le aziende già dotate di e-commerce

In quel caso il cliente effettua l’acquisto direttamente dal loro sito, e tutto quello che le aziende devono a noi è un fisso mensile per la presenza su Cicacì. Al momento, sono questi i produttori che prediligiamo. È più semplice lavorare con persone che hanno già una certa pratica con le vendite online, piuttosto che convincere gente inesperta e rischiare i naturali inciampi dei primi tentativi.

Alle aziende che entrano nel vostro sito, quali requisiti chiedete?

Anzitutto che i prodotti siano made in Italy, perché è questo il valore aggiunto che li rende appetibili. Poi che siano di buona qualità, nella lavorazione e negli ingredienti: infatti, uno dei lavori preliminari che più mi impegnano è studiare le etichette (o dalle confezioni dei prodotti o dalle pagine dei rispettivi siti). Molti vantano anche delle certificazioni specifiche, alcuni hanno ricevuto premi o attestati prestigiosi. Ci sono frantoi che collaborano con appositi sommelier dell’olio, alcune aziende spediscono ai destinatari le bottiglie complete di certificazione. A volte basta semplicemente esaminare a fondo i siti internet dei produttori per intuire quanto credono nella loro attività e nel loro lavoro: se hanno la propria azienda agricola, se valorizzano le caratteristiche del loro territorio, se ci tengono a mostrare gli ulivi e i vigneti… E poi naturalmente chiediamo efficienza per tutto quanto riguarda le spedizioni: velocità, precisione, cura nell’imballaggio.

Mai capitati momenti di incertezza o di delusione?

Certo, come immagino succeda in tutte le attività imprenditoriali: sono i momenti in cui è più necessario che mai il supporto morale di cui parlavamo prima. Ho ricevuto dei rifiuti da aziende a cui mi proponevo, dovuti a mera diffidenza; per fortuna seguiti poi da una serie di risposte positive, e dalle richieste di aziende che io non conoscevo e che mi chiedevano di entrare nel progetto. Purtroppo è successo anche di dover interrompere il rapporto di lavoro con produttori che non hanno funzionato bene come mi aspettavo: non avendo mai lavorato prima nell’e-commerce, hanno pagato lo scotto dell’inesperienza e di riflesso lo hanno fatto pagare al sito, per un numero di volte eccessivo. Considera che, se le aziende non hanno una loro vetrina in cui esporre e prezzare i prodotti, devono prendersi cura della vetrina su Cicacì e aggiornarla regolarmente, ad esempio se ci sono promozioni, cambiamenti di prezzi o prodotti esauriti. Mancando questa parte, viene a mancare la ragione d’essere della partnership.

E le aziende che hanno già un proprio sito con e-commerce devono aggiornare sia la loro vetrina, sia quella di Cicacì?

Non necessariamente: spesso provvedo io a effettuare dei controlli incrociati. Ad esempio verifico la coerenza dei prezzi e la presenza di tutti i prodotti circa due volte al mese, oltre che nelle occasioni particolari legate a specifiche stagioni dell’anno o a ricorrenze e festività. Per esempio, se sono in corso delle promozioni, non è detto che mi venga comunicato sempre quando scadono, quindi a volte tocca a me controllare. Bisogna dedicare molto tempo alla ricerca in senso lato, il lavoro non si esaurisce mai nel normale orario d’ufficio! Però ne vale la pena, considerate le soddisfazioni che arrivano: eravamo partiti da zero e adesso collaboriamo con 39 aziende, dal settore frutta e verdura ai prodotti erboristici, carne e pesce, dolci e confetture. Non mancano pasta e farine, le salse, i salumi e formaggi e i vini. Vanno forte anche le idee regalo.

Qual è, a tuo avviso, la specificità del tuo sito?

Il fatto di non nascondere i produttori. Molti e-commerce di prodotti enogastronomici lo fanno, mettono bene in evidenza la merce ma vogliono che il riflettore rimanga puntato su di loro in quanto distributori, in quanto “quelli da cui puoi fare acquisti”. Io invece preferisco far capire che non sono tanto un’intermediaria per una transazione commerciale, quanto piuttosto una vetrina per mostrare ai clienti quali aziende propongono determinati prodotti e come li realizzano. Alcune di esse offrono anche servizi, quali visite guidate e degustazioni, oppure lavorano come agriturismi: in questi casi, a maggior ragione la mia funzione è quella della vetrina, contribuisco a far conoscere un’attività che a mio giudizio lavora bene, e mi fa piacere se un acquirente che passa dal mio sito decide poi di trascorrere un intero weekend in quel determinato luogo.

Infatti vedo che, sul sito, di ogni azienda è indicata la posizione.

Assolutamente sì, le geolocalizziamo tutte! È una delle funzionalità a cui ho sempre tenuto di più, e su cui ho più fatto lavorare i ragazzi di IdexaWeb.

Avrete curato anche tutta la parte relativa alla promozione.

Sì, abbiamo lanciato varie campagne sui social network e lavorato molto sulla SEO: tutti i testi che compaiono sul sito sono stati scritti con le accortezze necessarie al posizionamento. Anche il blog ha essenzialmente quella funzione, più lo aggiorno e più il sito si posiziona bene: certo ogni articolo va studiato, bisogna scegliere la suddivisione in capoversi e le parole chiave. A me fa piacere scrivere quei testi, si tratta di argomenti che mi appassionano, ma non dimentico che devono sempre essere orientati sulla promozione del made in Italy.

Hai bisogno spesso di aggiustamenti o aggiornamenti del sito?

Direi di no. In generale cerco di arrangiarmi da sola, vorrei evitare di chiedere assistenza alla web agency per situazioni che, pensandoci bene, posso gestire da sola. Quando ho davvero bisogno, di solito mando una mail e nel giro di poco tempo mi arriva la risposta.

Chi sono i tuoi clienti?

Non ho uno standard, la clientela è molto eterogenea… c’è lo studente fuori sede attento a un’alimentazione scrupolosa, c’è il pensionato che ha la passione del pecorino e se lo fa spedire direttamente dalla Sardegna. Quel che conta, per me, è rendere tutti gli utenti più consapevoli di quello che il nostro Paese può offrire: il made in Italy è famoso nel mondo, ma in Italia gli diamo meno considerazione di quanta ne meriti.

In conclusione, una curiosità: il nome “Cicaci” da dove è arrivato?

Me lo chiedono tutti! Mio marito e io volevamo evitare nomi banali, di quelli che includono parole come “gastronomia” o “wine & food”, così abbiamo pensato di mettere insieme le lettere iniziali dei nostri cognomi. Quando lo abbiamo proposto in IdexaWeb, non sapevamo se ci avrebbero guardati male… invece hanno semplicemente controllato che il dominio fosse libero e lo hanno prenotato di corsa. E in quel momento l’avventura di Cicaci ha avuto ufficialmente inizio.

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Intervista a cura di Velma J. Starling